Il ristorante Koinè di Legnano ha introdotto da alcuni giorni il nuovo menu estivo.

Non ci sono cambiamenti nella filosofia di cucina. I nuovi piatti creati da Alberto Buratti seguono il consolidato percorso di questo ristorante, che offre una proposta gastronomica che vuole dare vita a nuove prospettive di gusto, partendo dalle solide basi della cucina mediterranea e dalla valorizzazione di prodotti del territorio, mettendo tutto questo in relazione con prodotti e tecniche da tutto il mondo, con lo scopo di generare appunto una “koinè”, ovvero una lingua comune del gusto.

Per rendersene conto basta scorrere il nuovo menu, dove, per esempio, piatti che si richiamano, almeno come principio, alle classiche modalità di preparazione della tradizione italiana come la “pizzaiola” e lo “scapece”, si affiancano richiami all’aguachile e al ceviche, ovvero due tecniche di marinatura del pesce (con succo di agrumi e spezie) caratteristiche rispettivamente del Massico e del Perù.

Insomma, lo stile del Koinè e di Alberto Buratti hanno oramai intrapreso un percorso chiaro e ben delineato?

“Si è così – risponde lo stesso Alberto Buratti – e fra l’altro questa volta ci siamo divertiti a giocare un po’ anche con la pizza – ci dichiara lo chef Alberto Buratti. Ma questo lo racconterò più avanti… Lei ha citato lo “scapece”. Dietro a questo piatto c’è una bella storia di commistioni gastronomiche. Lo scapece è una preparazione che appartiene a diverse cucine regionali italiane (quella campana e ligure su tutte ma non solo), ma è una tecnica che in realtà è stata mutuata dallo “escabeche” della cucina spagnola che a sua volta deriva da simili preparazioni presenti sia nella cucina araba, sia in quella di Roma antica, dove era diffusa la pratica di marinare il cibo in salsa di aceto. Nel nostro “Risotto allo scapece”, usiamo le zucchine trombetta, tipiche della Liguria, marinate nell’aceto e il pecorino ligure per la mantecatura del riso, che viene servito con crema all’aglio bianco e crema all’aglio nero, che ricorda la fragranza di aglio tostato che spesso si incontra per le strade del Mezzogiorno e di tante città del mediterraneo.

Un altro piatto che vi voglio presentare mi è stato ispirato da una recente visita al museo Crespi Bonsai a Parabiago. Qui sono rimasto particolarmente colpito dalla pratica del “tokonoma”, ovvero una piccola alcova rialzata che si trova nella stanza di ingresso della tradizionale casa giapponese. In questo anfratto si appendono pergamene, ikebana, piccole pietre e bonsai che ricordano elementi della natura del luogo. Questi elementi sono mobili, nel senso che le composizioni vengono cambiate in base alla stagione e sono preparate come benvenuto per gli ospiti. Così come noi proponiamo il nostro Tokonoma di alici tra gli antipasti. Si tratta di due preparazioni dello stesso pesce accompagnato da una marmellata di cipolle, una crema di pinoli, delle chips di aglio e poi a parte serviamo un biscotto al nero di seppia cotto al sifone, che ricorda proprio una pietra. Le alici e il biscotto sono serviti assieme su due piatti di pietra che ci siamo fatti realizzare apposta da un artigiano marmista.

Nella Fregola Claim Chowder si richiamano due culture gastronomiche in apparenza molto distanti. La Claim Chowder è la classica zuppa di vongole preparata in tutti gli Stati Uniti. E’ forse uno dei pochi piatti veramente identificativi della cucina americana. Ogni regione degli States ha la sua versione particolare di questa zuppa. Per esempio nel Nord (New England) si mette il bacon, nel Maine il mais a San Francisco si prepare in purezza e così via. Quindi siamo partiti da questa suggestione per creare un piatto fresco ed estivo, e abbiamo pensato alla Sardegna e alla sua pasta tradizionale, la fregola, che si usa mangiare proprio con le vongole e con il pesce più povero. La fregola rilascia il suo amido e cuoce nell’acqua delle vongole combinandosi in maniera straordinaria. E’ un piatto assolutamente da provare”.

Anche il “Petto d’anatra, gin e sambuco” immagino che abbia una sua storia?

“Si, anche qui siamo partiti da una suggestione. Quella delle piante di sambuco che crescono spontaneamente nei pressi degli ambienti lacustri. Queste piante fioriscono in primavera con il ritorno delle anatre, e maturano le loro bacche in autunno quando le anatre stanno per ripartire. Così abbiamo deciso di sposare l’anatra con il sapore del sambuco e del gin, aromatizzato con il profumo dei fiori di questa pianta”.

I vostri piatti sono sempre legati ad una storia particolare, ma com’è la loro genesi? Partite da una vostra suggestione per cercare un nuovo equilibrio di gusti, oppure create prima il piatto e poi costruite sopra il racconto?

“In alcuni casi tutto parte da un ingrediente. Se c’è un ingrediente che abbiamo selezionato, e che vogliamo lavorare, partiamo da quello e ci costruiamo sopra il piatto. In molti altri casi però tutto nasce da una suggestione particolare, da un viaggio, da una immagine, un ricordo.

Un po’ di tempo fa facevamo un piatto autunnale di gnocchi. Erano ognuno di un colore diverso, sullo spettro di colori che va dal verde al marrone e al rosso, per ricordare l’effetto visivo di un bosco in autunno. In quel caso ad ispirarci è stata una immagine, ma ultimamente partiamo principalmente da un ingrediente o da una suggestione. Come nel caso del piatto ispirato dal labirinto di Villa Panza, una ricetta vegana presente nel menu precedente che proponeva 10 diverse verdure verdi, ognuna con una diversa preparazione che simbolicamente rappresentava il labirinto come ricerca di se stessi, ovvero del percorso che molte persone scelgono di fare per un’alimentazione più consapevole.”

Questo piatto vegano ha rappresentato un’eccezione nella vostra cucina oppure avete una attenzione particolare per i clienti vegetariani o vegani?

“Diciamo che affrontiamo questo argomento cercando di unire l’utile al dilettevole. Abbiamo certamente alcuni clienti vegetariani e vegani, ma c’è anche una buona fetta di clienti che, pur non essendo rigorosamente vegetariani, spesso ci chiedono di poter mangiare piatti privi di proteine animali. Per noi questa è anche una sfida, perché se io prendo il miglior astice blu della Normandia è facile preparare un piatto gustoso, mentre con le verdure diventa molto più difficile. Quindi per noi è al tempo stesso una sfida e un divertimento.
Per esempio nel menu di adesso proponiamo con gli antipasti una “Torta di pomodoro” che è una sperimentazione sulla pizza ovvero un’ipotesi di come sarebbe potuta essere la pizza se fosse stata inventata in Francia. Il piatto parte dal clafoutis il classico dolce francese fatto con la frutta di stagione. Eliminiamo quasi del tutto lo zucchero e sostituiamo la frutta con una salsa di pomodoro cotta in sottovuoto e con l’aggiunta di un gelato alla mozzarella di bufala condito con origano e sale alla vaniglia. Quindi per certi versi ricreiamo una pizza così come l’avrebbe potuta inventare cuoco della Francia settentrionale partendo da una preparazione tipica del suo Paese”.

Ho visto che proponete anche alcuni menu degustazione. E’ un po’ una novità per il Koinè?

“Si in effetti con questi menu abbiamo un po’ modificato il nostro approccio. Nel senso che non proponiamo più il menu a mano libera (quello che chiamavamo Carta bianca dello chef), perché in questi ultimi tempi è un po’ cambiato l’atteggiamento dei nostri clienti. Prima la percentuale di quelli che sceglievano il menu libero era del 50%, ma ultimamente ci siamo resi conto che sempre più persone si affidavano alla nostra carta. Anche per affezione verso alcuni piatti in particolare. Quindi abbiamo introdotto un menu degustazione suddiviso in tre proposte. Una prima dedicata al territorio con piatti che richiamano i classici della cucina milanese, un secondo menu con i nostri piatti firma, quelli che nel tempo i nostri clienti hanno cominciato ad apprezzare e richiedere con continuità e un terzo menu che abbiamo intitolato “Il vecchio e il mare”, che propone piatti generalmente di pesce che uniscono luoghi e città che dalla Spagna a Venezia, al mare dei Caraibi hanno ispirato le grandi opere di Ernest Hemingway”.

Nella carta dei dolci quali sono le novità?

“In realtà abbiamo messo in carta solo tre dolci nuovi, perché gli altri facciamo davvero fatica a cambiarli, soprattutto il JaN’Duja e L’Aspromonte sono ormai due classici che le persone continuano a chiederci.

Tra le novità abbiamo il Parquet di cioccolato, che viene realizzato con due mousse di cioccolato al latte con diverse percentuali di cacao. Questo ci consente di ricreare una tavolozza a quadri di colori diversi. Alla base mettiamo una gelatina fatta con mango, lemongrass e zenzero e poi un biscotto allo zucchero mascobado. Visivamente ricorda un pavimento in legno, e negli ingredienti unisce due mondi contrapposti: il nostro dove il parquet è sinonimo di benessere e i paesi del Sud America e dell’Asia dove il pavimento in legno è una caratteristica delle abitazioni più povere.

Un altro dolce nuovo è “Il centro della galassia”. Ispirato da un video dove si raccontava l’ipotesi formulata dagli astronomi del Max Plank Institute di Bonn, secondo i quali il centro della nostra galassia sa di lampone e rhum. I due astronomi infatti hanno scoperto che in una regione centrale della nostra galassia vi sono tracce di etile formiato, un composto in parte responsabile del gusto dei lamponi e chimicamente “imparentato” con l’alcol etilico (da qui il richiamo al rum). Rum e lamponi sono appunto gli ingredienti attorno ai quali ho creato questo dolce. Facciamo una spirale con un marshmallow ai lamponi, che poi andiamo a riempire con lamponi trattati in vari modi (disidratati, congelati ecc.), una gelatina al rum e infine un babà che andiamo a spezzettare sopra al tutto.

L’ultima novità nella nostra carta dolci è il “Cookies and cream” che abbiamo chiamato così un po’ scherzosamente richiamando l’omonimo gelato della Häagen-Dazs, con la differenza che noi lo componiamo direttamente in sala.

Il nostro Fabio esce in sala con un piccolo carrello con sopra i vari ingredienti: il gelato, il cioccolato in scaglie, la frutta secca caramellata, il mou, il biscotto al burro sbricciolato e poi un biscotto di pasta frolla bretone a forma di mucca che chiude la composizione.

E’ il cliente che alla fine sceglie come dosare i vari ingredienti ed è uno spettacolo osservare il nostro Fabio nella preparazione. Anzi, a dire il vero a noi piacerebbe sfruttare di più la magia della cucina di sala ma è davvero arduo al giorno d’oggi trovare personale preparato e non possiamo permetterci di destinare quello che abbiamo distraendolo da altri compiti più importanti.”