Alberto Buratti
Alberto Buratti

Il Koinè è un ristorante gourmet situato al civico 2c di vicolo Corridoni a Legnano. In sala il patron Davide Ceriotti e ai fornelli Alberto Buratti. Chef under 30 che propone un menu dove esprime al meglio la sua creatività ma, a differenza di molti altri ristoranti con ambizioni equivalenti non rinuncia a proporre i piatti della tradizione di Milano. Lo abbiamo intervistato chiedendogli di presentare ai lettori del portale prenotoio.com la sua cucina.

Alberto Buratti, perché ha scelto Legnano e il Koinè esprimere il suo talento in cucina?

“Io sono nato a Busto Garolfo e per me tornare a lavorare  a Legnano ha rappresentato un ritorno a casa. … un obiettivo che avevo fin dall’inizio della mia carriera”.

Una scelta ponderata e voluta dunque quella di Alberto Buratti, trent’anni, attuale responsabile delle cucine del ristorante Koiné a Legnano. Non è certo la prima volta che un giornalista gli rivolge questa domanda perché può stupire il fatto che un giovane chef con diverse esperienze all’estero e – soprattutto – con un passato di due anni trascorsi al fianco di Ezio Santin all’Antica Osteria del Ponte a Cassinetta di Lugagnano e tre anni da Massimo Bottura all’Osteria Francescana di Modena scelga poi di guidare un ristorante in una città dove non c’è una vera e propria  tradizione di ristorazione gourmet.

Molto in questa scelta – ci racconta Buratti – ha contato anche la sintonia di intenti con  Claudio e Davide Ceriotti proprietari del locale e  oggi responsabili rispettivamente del coordinamento della cucina e della sala “perché in realtà la mia intenzione era quella di aprire un locale tutto mio ma poi ho incontrato Claudio e Davide con il loro progetto di trasformare e riqualificare il Koinè e con la loro idea di una cucina che forte di un legame profondo con la tradizione e il territorio si confronta quotidianamente  con le culture gastronomiche di tutto il mondo per generare appunto un koinè, ovvero ‘un linguaggio del gusto condiviso’ e ho riconosciuto in questi presupposti una visione molto vicina alla mia idea di cucina”.

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Ezio Santin e Massimo Bottura rappresentano rispettivamente  il glorioso passato e il grande presente della cucina italiana. Cosa ha imparato da loro?

“Sono stati entrambi maestri fondamentali in tutti i sensi perché sia Santin che Bottura erano (Bottura lo è ancora) non solo gli chef ma anche proprietari dei loro ristoranti. Questo aspetto è stato importante perché mi ha consentito di dare il giusto peso non solo alle tante cose che ho imparato in cucina (la scelta della materia prima, la lavorazione, l’attenzione al gusto e al palato ,,, ) ma anche all’aspetto economico della gestione di un ristorante. Entrambi a fine mese dovevano tirare le somme e portare a casa quello che serviva a tenere in piedi la struttura. Quindi se da un lato il periodo trascorso con loro è stato caratterizzato da una enorme crescita della mia sensibilità e delle mie capacità tecniche dall’altro è stato anche molto importante per comprendere che per fare bene ristorazione c’è l’obbligo di pagare gli stipendi, di versare i contributi, di saldare i fornitori e così via …”

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Il Koinè rappresenta un po’ una una scommessa nel contesto dell’Altomilanese, come sta andando questa scommessa?

“Sono molto contento di come stanno andando le cose perché dopo un breve periodo di difficoltà dal 2015 al 2016 siamo cresciuti del 30 per cento e anche nell’ultimo anno le cosa stanno andando davvero bene e continuiamo a crescere sia in termini di coperti che di fatturato. Certo non siamo miliardari ma i numeri sono dalla nostra parte”.

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Come è stato il vostro impatto con la realtà di un pubblico poco avvezzo a frequentare ristoranti gourmet?

“Abbiamo dovuto affrontare un percorso abbastanza complesso cercando di accompagnare i nostri clienti a scoprire nuove dimensioni della ristorazione. Inizialmente siamo partiti riproponendo piatti classici sui quali andavamo a fare un importante lavoro di pulizia riducendo al minimo i grassi, alleggerendo le ricette, rivisitando la tradizione. Però ci siamo resi conto di avere accelerato un po’ troppo nella fase iniziale. Quindi abbiamo fatto un passo indietro nel dicembre del 2014 proponendo piatti concettualmente più semplici.

Ricordo, ad esempio, che facevamo un raviolo di pasta verde ripieno di patè di lumache. In tre mesi questo piatto fu chiesto da meno di dieci clienti perché non era concepibile l’idea che si potesse fare un ripieno di ravioli con la lumaca. Allora nel menu successivo abbiamo proposto dei ravioli con un  ripieno più classico, utilizzando la salva cremasca che è uno straordinario formaggio lombardo con una storia importante alle spalle e che ha incontrato fin da subito il gusto dei nostri clienti trovandola una proposta più familiare. Da allora nei nostri menu non manca mai una selezione di piatti legati ad una concezione più classica del gusto.

Da ottobre dello scorso anno la nostra proposta di cucina si è finalmente stabilizzata prevedendo la contemporanea presenza di un menù stagionale alla carta e di tre menu degustazione, anch’essi cambiati in base alla stagionalità.  L’idea è quella di poter offrire una vasta possibilità di scelta ai nostri clienti non tanto nel numero dei piatti quanto piuttosto nella tipologia di esperienza gastronomica che si sentono di provare.

Per cominciare abbiamo quindi sempre in carta un menu dedicato ai classici della cucina milanese e classica. Nel menù invernale c’erano ad esempio il risotto giallo, la cotoletta alla milanese, il baccalà mantecato, una nostra versione del tiramisù … chiamiamo questo menu “Radici” perché appunto affonda nella cucina della tradizione. In questo modo i nostri clienti hanno sempre la possibilità di sedersi a tavole e di sentirsi a casa.

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Poi abbiamo un secondo menu degustazione che chiamiamo “Ingredienti” perché è realizzato con i nostri  piatti  “classici” (ammesso che si possa usare questo termine per un ristorante aperto da appena tre anni). Sono tutti piatti che hanno incontrato il favore dei nostri clienti e hanno la particolarità di essere costruiti attorno ad uno specifico ingrediente.  Qui proponiamo ad esempio gli “Spaghetti in cagnone”, la “Tartare” con le carni della macelleria Colnaghi,  l’Uovo di cascina con la spuma al parmigiano. Ogni piatto di questo menu valorizza un ingrediente di qualità che trattiamo da tanto tempo, che conosciamo alla perfezione e valorizziamo con la nostra ricetta.

E infine c’è il terzo menu degustazione, quello totalmente creativo che abbiamo chiamato “Koinè dei sapori”, nel quale si racconta la parte più recente della nostra ricerca. Si tratta di piatti elaborati partendo dalle mie esperienze personali di viaggi in giro per il mondo oppure da incontri e scambi di opinione con i miei colleghi. In questi piatti il contributo che viene da cucine lontane può essere un ingrediente (magari lavorato con tecniche tipiche della nostra cucina) o viceversa ingredienti italiani e lombardi trattati con tecniche derivate da altre matrici culturali.  Le portate di questo menu sono sempre almeno otto ma possono essere anche di più fino ad un massimo di 14. Attenzione però qui stiamo parlando di piccole porzioni, quasi degli assaggi. Noi siamo molto attenti a calibrare nei nostri menu l’apporto calorico complessivo e poi la prima portata è quasi sempre composta da un brodo caldo che ha lo scopo di predisporre alla digestione. Di questo menu non scriviamo in carta né il numero delle portate, né i piatti. Decidiamo cosa proporre giorno per giorno in base a quello che troviamo al mercato.

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Con la formula dei tre menu degustazione riusciamo ad accontentare tutti i nostri clienti. Chi viene da noi può decidere per esempio di voler fare una esperienza sensoriale e provare il menu di ricerca. Chi viene più spesso oppure ha esigenze diverse può invece orientarsi verso una cucina più classica e poi c’è sempre il menu alla carta ideale anche per chi viene a mangiare da noi con una certa frequenza dove proponiamo piatti più semplici anche nelle materie prime utilizzate. Qui non troveremo ad esempio gamberi rossi di sicilia, foie gras,  capesante o altri ingredienti particolari che invece sono frequenti nei menu di degustazione ma ingredienti più “popolari” anche se assolutamente di qualità. Un’altra informazione importante da dare è che nei nostri menu ci sono sempre in carta almeno un paio di piatti vegani (negli antipasti e nei primi).

I prezzi dei tre menu (47 euro il menu Radici; 54 euro il menu Ingredienti e 64 euro il menu Koinè sono assolutamente abbordabili se consideriamo che si tratta di cucina gourmet.”

Parlando del nuovo menu (quello primaverile appena entrato in carta) ci vuole raccontare qualche piatto?

“Mi piacerebbe prima di tutto raccontare come matura il processi di definizione del nostro menu che è sempre il risultato di incontri e di esperienze dirette. Ad esempio da una recente discussione che ho avuto con Silvio Salmoiraghi (lo chef del ristorante Acquerello) in merito alla necessità di tornare a fare la vera cucina italiana mi è venuta l’idea di riproporre un piatto dell’autentica tradizione milanese, le Animelle in agrodolce. Così ho ripreso e aggiornato la ricetta  ritrovata in un vecchio libro di cucina lombarda e la propongo nel nuovo menu.

Secondo lo stesso principio di recente ho avuto la possibilità di confrontarmi con Juan Barrientos, chef del ristorante El Cielo di Bogotà che è stato qui da noi per una serata straordinaria dove ci ha deliziato raccontando l’arte sudamericana della marinatura del pesce crudo (cevice) proponendo una capasanta in cevice che ho deciso di riprendere nel mio nuovo menu trattandola però con la tecnica tutta italiana del carpione.

Ecco in questi due esempi, dove racconto la genesi di due piatti del nostro nuovo menu, è racchiuso anche il senso della nostra ricerca in cucina che appunto è ricerca di nuovo Koiné, un linguaggio comune del gusto che unisce paesi e culture diversi.

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Buratti lei è stato per tre anni all’Osteria Francescana di Modena (miglior ristorante d’Europa secondo la classifica del World’s 50 Best Restaurants) dove si è occupato anche della partita dei dolci. Questa esperienza ha in qualche modo influenzato le proposte di pasticceria del Koinè?

“Assolutamente si. Direi anzi che il nostro approccio verso la parte dolce del menu deve molto alle cose che ho imparato in Osteria Francescana. Ho iniziato la mia esperienza con loro occupandomi proprio dei dolci. Non è stato un errore, anzi, per principio Massimo Bottura tende ad affidare la pasticceria non a pasticceri di professione ma a dei cuochi proprio perché questi hanno una sensibilità di gusto più complessa rispetto ai primi.   E così anche nella nostra filosofia di lavoro il dolce ha sempre un legame, una sfumatura più o meno accentuata verso il salato. In questo modo la portata dolce non è mai completamente avulsa dal percorso gustativo del nostro menu ma ne rappresenta la degna conclusione.

Anche qui cerchiamo il più possibile di valorizzare prodotti della nostra terra. per esempio in menu abbiamo un dolce  a base di miele (Sfumature di miele) dove usiamo il miele siciliano di Fontanarossa ma anche un miele che viene prodotto da un apicoltore qui in un parco del Legnanese che è molto buono. Poi abbiamo un dolce che si chiama il GiaN’duja che mette insieme prodotti del Piemonte e di Calabria (il gianduia, le nocciole, la N’duja che è il tipico salame piccante di Calabria, il tartufo nero) per un gioco DSC_5635-HDRdi sapori sorprendente”.

Anche nel caso dei dolci quindi al Koinè si lavora mettendo insieme non solo dolce e salato ma anche prodotti di territori lontani. Insomma qui la ricerca della koinè del gusto non si interrompe mai, nemmeno con l’ultima portata.

Piergiovanni Mometto