C’era un tempo in cui nelle famiglie italiane, quelle allargate della tradizione contadina per intenderci, la cucina rappresentava un mondo a parte. Era l’unico angolo della casa nel quale l’onnipotente capo famiglia non poteva mettere becco. Perché li, sulla soglia di quella stanza dove – fin dalle prime luci dell’alba – le ragazze di casa erano indaffarate a tenere acceso il fuoco e a trasferire le braci dentro ai fornelli della cucina economica a comandare era un’altra figura.

Che si chiamasse Rezdora (in Emilia e Romagna), Regiura (in Lombardia o in Piemonte) o Massara (in Veneto) il suo ruolo era sempre lo stesso, quello di gestire l’economato e sovraintendere alla preparazione del cibo.

In cucina la Regiura era quella che sapeva le cose. Conosceva gli ingredienti e sapeva come andavano maneggiati nei vari passaggi per la preparazione dei piatti, conosceva le ricette e i segreti della loro preparazione ereditati dalla madre o dalla nonna, conosceva soprattutto il tempo del cibo.

Il tempo era l’ingrediente principale di questa cucina fatta insieme di memoria e di sperimentazione:  bisognava conoscere alla perfezione  tutti i segreti del fuoco per riuscire a realizzare quelle cotture lentissime e sempre costanti  che trasformavano tagli di carne duri e nodosi in bocconi teneri e saporiti, cereali e legumi essiccati in gustose e morbide minestre oppure cotture estremamente veloci e delicate come quelle richieste dalla preparazione di una saporita frittata con le erbette di primavera. Saper cucinare  era soprattutto una questione di controllo e  gestione della forza del fuoco e di conoscenza quasi intima della materia prima.

“E’ una questione di Amore – come ripete spesso chef Marconi del Ristorante la Fornace – Amore che  in cucina era – ed è ancora oggi – il “sale” capace di dare gusto all’esperienza. Senza l’uno né l’altra la cucina manca di anima e anche lo chef  più talentuoso potrà essere capace di creare piatti memorabili per la loro complessità e originalità ma non potrà mai definirsi un cuoco. Al contrario la conoscenza profonda derivata dall’esperienza, dallo studio, dal recupero della nostra memoria, unita con la capacita di creare e di inventare con amore, consente a noi cuochi di lasciare una traccia di noi e del nostro passaggio.”

La cucina DOP (Denominazione di Origine Poli) del Ristorante la Fornace, con lo chef Vincenzo Marconi, oggi riprende e innova questa lunga memoria collettiva. Lavorando sui tempi di cottura, sul controllo delle temperature e su tutte quelle tecniche che consentono anche grazie alle più moderne tecnologie di cuocere un ingrediente rispettando tutte le sue caratteristiche organolettiche, esaltandone al massimo il sapore.

Piatti iconici del nuovo menu come il “Reale di manzo CBT con spuma al Montebore”; il “Moro oceanico in olio cottura allo zafferano con salsa alla livornese e piselli”; il “Salmone taglio Balik affumicato al profumo di bourbon con zucchine trombetta e keta” appartengono a pieno diritto ad una cucina che ripropone e valorizza in chiave moderna l’insegnamento delle cucine di casa. Che si tratti della cottura a bassa temperatura (CBT) che riprende la memoria delle lentissime cotture alla brace nella cucina economica d’altri tempi; oppure della “olio cottura” che si rifà nel ricordo all’antica tecnica del confit che consentiva di conservare la carne a lungo senza l’uso del sale oppure a quella della marinatura che cuoce, insaporisce e conserva il cibo senza alterarlo. E’ con piatti come questi che Vincenzo Marconi riesce a lasciare tracce di sé nella nostra memoria.

Allora l’invito per tutti è di venirci a trovare alla Fornace e al Poli Hotel con uno spirito tutto nuovo: Keep CALM, stay DOP!